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Nino Barraco, i vini naturali del leader della nouvelle vague marsalese

In sole 15 vendemmie, Nino Barraco è riuscito ad assumere un ruolo di leader del nuovo vino indipendente marsalese. Il suo appassionato lavoro, ispirato al leggendario ideatore del “Vecchio Samperi”, Marco De Bartoli, ha infatti a sua volta spinto molti altri vignaioli a mettersi in proprio cercando di ripensare il consolidato modello produttivo della zona, ormai da decenni monopolizzato da grandi aziende private e dal loro Marsala “britannico” (cioè fortificato, come imposero Woodhouse e soci a fine Settecento), affiancate dalle numerose cantine sociali e dai loro vini sfusi.

la cantina

Oggi Barraco, con una nuova cantina, inaugurata nel 2015, e un’estensione vitata considerevole (dai sei ettari iniziali è arrivato a gestirne 14), continua a rappresentare, con umiltà sorprendente e fertile irrequietezza, l’avanguardia della nouvelle vague di Marsala. Mi sembra significativa una sua frase pronunciata durante la sessione di assaggi: “Dopo 14 anni da produttore di vino credi di aver acquisito molta esperienza in vigna e in cantina e guadagnato una certa sicurezza, credi di aver imparato tutto, invece spesso succedono fatti incredibili e contraddittori che annullano tutte le tue certezze e ti inducono quasi a pensare di dover ricominciare da capo”.

Nino è da sempre un fautore dell’approccio “naturale” sia in vigna che in cantina: niente irrigazione, niente sistemici, terreni nutriti col favino, vendemmie interamente manuali, fermentazioni spontanee, macerazioni sulle bucce anche per i bianchi (saggiamente ridotte nelle ultime edizioni), pochi solfiti e niente legno, a parte i due vini ossidativi ispirati al periodo pre-british. Il patrimonio viticolo giace in Contrada Bausa, nei pressi della cantina, a Petrosino, a un passo dal mare, e a Castelvetrano. Le bottiglie prodotte annualmente sono circa 40mila, con l’obiettivo di arrivare a 50mila.

le vigne

Nei primi anni della sua avventura aziendale Barraco si è concentrato sui vini secchi da monovitigno, tutti autoctoni: Grillo, Catarratto e Zibibbo per i bianchi, Nero d’Avola e Pignatello (Perricone) per i rossi. Poi ha sperimentato il metodo classico da Grillo, soprattutto, e da Nero d’Avola (quest’ultimo però mai commercializzato), progetto in seguito abbandonato a favore di nuove etichette, Vignammare e Rosammare, pensate come espressione più fresca e disimpegnata dei due vitigni. “Ma sul metodo classico – confessa – forse ho fatto una scelta affrettata e credo proprio che presto tornerò a lavorarci”. Di recente sono arrivati due vini in stile ossidativo, non fortificati, che richiamano la storia del territorio prima dell’avvento degli inglesi (Marsala di fatto, ma che ancora oggi non possono chiamarsi tali per via del disciplinare, che prevede obbligatoriamente l’aggiunta di alcool o mistella): l’Alto Grado, da Grillo, che si distingue dalla tradizione contadina poiché millesimato e non “perpetuo”, e il Milocca, da Nero d’Avola, pure millesimato, nato per caso dopo una sciroccata che appassì le uve ancora in pianta.

Di recente ha anche cominciato ad allevare e a vinificare, per ora in via sperimentale, alcuni esemplari di antichi vitigni ormai quasi estinti, come la Catanese bianca, il Vitraruolo, l’Orisi e la Lucignola, in collaborazione con il vivaio dell’istituto regionale Paulsen.

Nel periodo pasquale sono tornato a far visita a Nino e alla sua bella cantina bianca immersa nelle vigne. Quelle che seguono sono le mie impressioni sulle ultime annate in commercio, degustate nella spettacolare sala con la vetrata che consente di godere il panorama degli impianti e del mare, proprio di fronte all’isola di Mozia e alle Egadi.

i vini bianchi

Vignammare 2018. Da vigne giovani a Petrosino, a trenta metri dalla battigia (il nome dice tutto…). Due giorni sulle bucce. Olfatto molto floreale, pompelmo maturo, miele millefiori, curry, capperi. In bocca è fresco, con bella scodata acida e salina, quasi violenta, persistenza notevole di agrumi amari. Testimone fedele del suo terroir. Senza solfiti aggiunti.

Catarratto 2018. Vigne di circa trent’anni presso la sede aziendale, in contrada Bausa, a 6-7 km dallo Stagnone. Naso estroverso, cenni fumé, pesca matura, macchia, iodio, erbette aromatiche (il suo artefice sente un accenno di vermouth e se ne compiace assai…). Anche il sorso è gentile ma molto sapido, con un bel finale di mandarino e noce moscata.

Grillo 2017. Piante di oltre 40 anni giacenti a Castelvetrano, a circa 50 km dalla cantina. Macerato cinque giorni sulle bucce. Sassoso, profuma di smalto, cedro, salsedine, pistacchi, ha uno stile ossidativo appena accennato. Sorso dolce e succoso, elegante e allo stesso tempo energico, sa di erbe dell’orto, è salino e speziato, con rimandi alla frutta gialla matura e alle mandorle in persistenza.

Zibibbo 2017. Note varietali molto esplicite, naso vegetale, zucchero a velo, poi pomodori secchi, capperi, bergamotto, arance disidratate, menta, anche leggermente sulfureo. Bocca estremamente sapida e tonica, verticale, speziatura dolce e piccante, finale saporito, lungo e convincente.

i vini rossi

Rosammare 2018. 10,5 % alcol, senza solfiti. Vendemmia anticipata di Nero d’Avola, come il Vignammare era fino a qualche anno fa la base per il metodo classico. Colore carico, profumi ancora vinosi, poi ciliegie e frutti di bosco. Sorso con poco frutto e molta acidità, vino semplice, beverino, stuzzicante.

Nero d’Avola 2016. Bel frutto maturo all’olfatto, lamponi, prugne, cenere spenta, ruggine, sangue, sottobosco, china. L’acidità si fa sentire al palato, è fresco e scorrevole nonostante una tannicità ancora in evidenza, molto goloso, grande persistenza salina e fruttata, con cenni di cacao e di tabacco.

Pignatello 2015. Più convincente rispetto alle ultime edizioni, naso balsamico e iodato, terroso, frutta rossa matura (ciliegie), spezie leggere. Bel tannino, sorso profondo, grande acidità a riequilibrare, chiusura fresca e leggermente amaricante, con olive nere e polvere di caffè. La permanenza in vetro e l’uscita posticipata sembrano avergli fatto bene.

Le annate dei due vini seguenti, in tutto e per tutto millesimati, non sono indicate in etichetta.

Milocca 2008. Da Nero d’Avola, 17,5% di alcol e 40 grammi di zuccheri residui. Affina in botti di castagno da 200 litri. Vino già recensito in altre occasioni che anche stavolta non delude, con uno stile più legato all’ossidazione di quanto non ricordavo. Rancio, colatura di alici, olive in salamoia, fichi e datteri essiccati, mora, nocciola; bell’equilibrio dolce/non dolce in bocca, molto bilanciato e preciso nei rimandi al frutto maturo e alla liquirizia, il tannino regala ulteriore complessità alla beva.

Alto Grado 2009. Da Grillo raccolto tardivamente e vinificato in ossidazione, con formazione di flor ed evaporazione in una botte scolma di castagno per sette anni. Profumi affumicati, di gomma, frutta secca e tostata, guscio di crostacei, capperi, spezie orientali. Molto lungo e persistente, struttura elegante, gioca più sulla leggerezza che sulla potenza, secco, agile, lievemente salmastro, adatto a tutto il pasto (ma anche da solo, senza cibo).

Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…

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