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A tu per tu con Giampaolo Tabarrini per scoprire la nuova cantina e i segreti dei suoi vini

Ingegno, modernità, visione e grande conoscenza del territorio. Sono questi gli elementi che traspaiono scambiando qualche «chiacchiera» con Giampaolo Tabarrini nella sua moderna cantina a Montefalco, in località Turrita.

In questi luoghi la famiglia produce vino da ben quattro generazioni anche se è alla fine degli anni ’90 che l’azienda assume un’impronta moderna, iniziando ad imbottigliare i propri vini secondo una filosofia produttiva tutta in house «dal grappolo alla bottiglia».

La consulenza enologica è quella di Emiliano Falsini, che Giampaolo definisce un amico fraterno, ma l’esperienza e la saggezza è anche quella dei genitori Nello e Franca, un prezioso sostegno per il progetto aziendale.

Giampaolo Tabarrini e il papà

E così, in maniera semplice e determinata, Giampaolo Tabarrini in pochi anni ha rivoluzionato i vini di questo areale, vinificando per cru il Sagrantino con l’intento di esaltare le specificità delle singole porzioni di vigna e ricercare anche eleganza e piacevolezza gustativa in un vitigno che, per caratteristiche proprie, tende ad essere potente ed imponente.

Non è un caso, quindi, che oggi il Colle Grimaldesco, il Campo alla Cerqua ed il Colle alle Macchie si annoverano tra le migliori espressioni di Montefalco. Senza dimenticare poi «Adarmando» il gioiellino bianco aziendale, un’interpretazione di Trebbiano Spoletino di elevata raffinatezza e con spiccata propensione all’invecchiamento.

Durante la nostra visita rivolgiamo a Giampaolo una serie di domande per meglio comprendere quanto possano incidere, nella produzione di vini di qualità, l’innovazione tecnologica e la ristrutturazione della cantina, tentando di carpire anche gli obiettivi futuri e le ambizioni aziendali.

Quali le ragioni che ti hanno spinto ad ampliare la superficie della cantina?

La cantina storica è stata abbracciata ad «U» dalla nuova. Abbiamo ampliato la superficie non per aumentare la produzione. Non voglio fare neanche una bottiglia in più, non mi interessa. L’esigenza di avere spazi più ampi nasce dalla necessità di lavorare bene. Per lavorare bene, hai bisogno di spazio. Non puoi pensare di lavorare bene in uno spazio ristretto dove non hai possibilità di manovra. Vai a sacrificare tutte le operazioni quotidiane perché sei sacrificato già in partenza. Se, invece, hai questo spazio lavori molto meglio e poi riesci a seguire una serie di concetti che avevamo anche prima, ma che dovevamo seguire con troppa fatica,  proprio per una questione di libertà di movimento …È quindi, un altro modo di lavorare. È più semplice. Quando diventa più semplice, diventa più veloce. La velocità nel vino è essenziale perché l’unico nemico è l’ossigeno. Quindi se ci sbrighiamo e non lo lasciamo a contatto con l’ossigeno, abbiamo risolto il 90% dei problemi. È un’esigenza fisica per lavorare meglio.

Nella mia vita ho sempre cercato di fare il vino ogni anno migliore dell’anno precedente. E quando parti da zero arrivare a 70 è velocissimo, a 80 facile, a 90 ci si arriva, poi quando sei là, dici adesso?  Il nostro obiettivo è arrivare a 100 o almeno lo scopo è pensare di arrivarci.

Interno cantina

I lavori di ristrutturazione della cantina, vista l’entità dell’investimento impiegato, sono ultimati o avete ancora altri obiettivi?

Nonno mio diceva sempre : «Finita la gabbia, morto l’uccello!». Quindi è meglio non finire mai ed avere sempre qualcosa da fare. Non vogliamo fare così tutti gli anni. Lo scopo è avere una resa diversa in termini di qualità, non vogliamo aumentare il numero di bottiglie. Noi siamo un’azienda che fa 60.000 – 70.000 bottiglie all’anno, questo è quello che riusciamo fisicamente a fare in campagna. Gestire comunque 13-14 ettari non è cosa da poco. Se uno vuole fare più bottiglie, deve fare più vigna. Il limite non è in cantina, qui per assurdo potremmo non avere limiti. Il limite è fuori. Non c’è modo di sopperire al fabbisogno dell’uva. Perché non si può pensare che se non riesci a fare l’uva te la compri. Chi vende uva non fa vino. Sono due lavori totalmente diversi. Chi fa uva da vino ha un pensiero che è diverso da chi fa uva perché il vino lo deve far un altro. E’ evidente. Quindi se ci serve un chilo in più è un chilo di uva in più che ci dobbiamo fare da soli.

Impianto

Come funziona il sistema di areazione all’interno della cantina?

Il sistema di trattamento dell’aria è un sistema di condizionamento costante. Ogni ora noi sostituiamo l’intero volume tre volte e all’interno dell’ambiente viene reimmessa un’aria totalmente sterile che è a 16° e 75% di umidità. Qua tutto è sempre perfettamente costante, in assenza di odori, muffe. Il vino riposa in un ambiente pulito, a 5 stelle. Il concetto deve essere questo, se pensiamo che il vino rimane in cantina almeno tre o quattro anni, deve rimanere in una condizione ottimale.

Il vino lavora in microssigenazione, quindi tutto l’ossigeno che è fuori deve attraversare la parete del legno, entrare all’interno della vasca ed ossigenare il vino. Il vino è una spugna, ha la capacità di assorbire tutto. Una volta che il vino ha legato un odore o un sapore, non è che domani, si può dire, si toglie.

Giampaolo Tabarrini , il papà con l’illuminazione in versione camaleontica della cantina

Perché dotare la cantina di un’impianto di illuminazione con controllo cromatico così imponente? Pensi possa avere effetti sul vino?

E’ pensata in effetti per far cambiare pelle alla cantina. Nel momento in cui avevamo fatto tutto questo mi sembrava riduttivo che la cantina non potesse essere «camaleontica», che non si vestisse ogni giorno dell’abito che sostanzialmente gli serve per quel tipo di giornata. Se stiamo facendo un evento magari ci divertiamo con un colore o un altro,  oppure se c’è una mostra di opere d’arte, si può creare una serie di situazioni diverse. Devo avere sia mentalmente che fisicamente la possibilità di fare le cose. Qui la luce riporta questo stesso principio.

Pensi che tutto questo aiuti o serva al vino?

Se ti devo dire che una luce rossa rende il vino migliore di una luce bianca o verde, ti direi una [stupidaggine] infinita, perché non è il colore della luce che cambia il risultato del vino o almeno non lo fa in maniera diretta. Però indirettamente ce n’è tanto di beneficio. Perché quello che ti circonda, ti condiziona. Un ambiente, come questo, sostanzialmente ti condiziona. Quando «abiti» – credo che tale verbo sia proprio giusto – un ambiente come questo, quando cade la goccia di vino a terra, sei subito motivato e mosso a pulirla. Se hai un ambiente diverso, dove magari c’era già dello sporco o non c’era un’attenzione, e cadeva la goccia di vino, avresti detto: «tanto era già sporco!». Così continui a peggiorare una situazione che già bella non era.

 

“Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo.” In queste parole la condivisione di una nostra passione e la voglia di comunicarla. Salvatore Del Vasto, laureato in Giurisprudenza e da sempre appassionato di vino, diventa prima sommelier, poi frequenta il Bibenda Executive Wine Master di Fis e poi consegue il diploma di Master presso l’Università di Tor Vergata in “Cultura dell’alimentazione e delle tradizioni enogastronomiche”. Sabrina Signoretti, laureata in Scienze Politiche, coltiva la sua passione diventando sommelier del vino, assaggiatrice di oli di oliva vergini ed extra vergini e sommelier dell’olio extravergine di oliva dell’AISO. Una delle qualità nascoste, la spiccata attitudine per la fotografia.

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