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Intervista a Tiziana Gallo per i 10 anni di Vignaioli Naturali a Roma. C’è un vino che si chiama Mr Brett

D: Tiziana, la manifestazione Vignaioli Naturali a Roma compie 10 anni, come è cambiato il vino naturale in tutto questo tempo?

R: C’è stato un grande incremento delle aziende partecipanti, che si spera non sia un fatto di moda ( come hanno fatto talune grandi aziende vitivinicole che hanno dedicato un ettaro delle proprie vigne alla produzione biodinamica, continuando a gestire l’altro 99% dei terreni secondo principi da “enologia industriale”) ma consapevolezza dei produttori sull’importanza di fare vini “naturali” cioè con l’intervento dell’uomo in vigna e in cantina il più limitato possibile. In realtà il nocciolo duro dei partecipanti a Vignaioli Naturali” è sempre stato costituito da tanti piccoli produttori, che hanno la passione e la voglia di produrre piccole quantità ( in media qualche migliaio di bottiglie) di vini che siano il più possibile rispettosi delle caratteristiche dei territori e dei vitigni: del terroir per usare una parola “di moda”; questo nucleo è andato crescendo nel tempo e oggi in questa edizione 2017 si incontrano tanti piccoli nuovi giovani produttori, per i quali produrre vino “naturale” più che un punto di arrivo è un punto di inizio, il leitmotiv che guida la strategia produttiva della loro azienda. (n.d.r. Per tornare alla tematica moda o non moda, probabilmente il fattore fashion influisce molto di più sul pubblico, sui nuovi consumatori per i quali l’aggettivo “naturale” è un qualcosa che oggi distingue e marca in senso positivo un prodotto che in quanto “naturale” è considerato automaticamente di qualità.)

D: Queste associazioni di produttori (Vini Veri, Vinnatur, etc.) che si ispirano a produzioni biologiche, biodinamiche, come le vedi nello scenario dei vini naturali? Qual è, quale è stato il loro contributo allo sviluppo del vino naturale?

R: C’è un gruppo di vignaioli della prima ora che ha dato vita secondo me alla nascita e allo sviluppo del vino naturale in Italia .Tra questi ricordo Angiolino Maule , Teobaldo Cappellano, Massavecchia, Rinaldi, Le Boncie, che nei primi anni 2000 avevano fatto un unico gruppo che si ispirava – chi in un modo, producendo vino “biologico”, chi in un altro – ai principi del “ vino naturale”. Il gruppo si riunì sotto il nome di Vini Veri e partecipò nel 2004 ad un evento collaterale al Vinitaly a Villa Favorita. Da allora Vini Veri è cresciuta, alcuni dei soci fondatori hanno fondato altre associazioni (es. Vinnatur), sempre con l’obiettivo della produzione e promozione di vini ottenuti con metodologie che rispettino le caratteristiche varietali dell’uva e dei vini di una certa zona.

D: Che differenza c’è tra queste associazioni di produttori di vini naturali e altre associazioni/organizzazioni – es. Demeter – che certificano un determinato prodotto in quanto biodinamico ( o Biologico)?

R: Le associazioni come Demeter  certificano un determinato prodotto di una azienda (non solo vino) che soddisfa i loro controlli richiedendo un contributo economico all’azienda che in questo modo viene riconosciuta come “socio” (n.d.r. alcune  piccole aziende hanno dichiarato  che questo contributo, calcolato in percentuale sulla produzione, è troppo oneroso per poterselo permettere). Mentre le Associazioni come Vinnatur  rappresentano produttori focalizzati sulla vini-viticoltura:   per parteciparvi è necessario rispettare il disciplinare di produzione dell’associazione, ma non è richiesto alcun contributo economico (n.d.r. se non le spese delle analisi periodiche sui vini e sulle uve) . Inoltre questo secondo tipo di associazioni partecipa in prima persona e contribuisce all’organizzazione di eventi per la diffusione della conoscenza dei vini naturali, come questo dei “Vignaioli Naturali”. Voglio però precisare che la scelta dei produttori che partecipano ai “Vignaioli Naturali” non dipende dell’appartenenza o meno ad una specifica associazione o certificazione;  per organizzare questo evento viene effettuata una selezione a monte dei partecipanti, scelti in quanto aziende conosciute e riconosciute, da me e  dal gruppo dei produttori amici ed esperti con cui da anni seguo il mondo del vino naturale, come aziende che adottano metodologie di produzione conformi al concetto di vino naturale come noi lo intendiamo. Ogni anno questa selezione si ripete e quindi, a seconda dei vini presentati, può cambiare il numero e la provenienza dei produttori: quest’anno per esempio ci sono molti più produttori del Lazio.

D: Non pensi che le certificazioni siano comunque un aiuto per il produttore (e anche per il consumatore) per far conoscere i propri vini?

R: Non sono d’accordo, non penso che un vino certificato biologico sia necessariamente un vino “naturale”. Se ci focalizziamo sulle certificazioni , che poi sono certificazioni pagate dagli stessi produttori, va a finire che si riduce tutto all’apposizione di un marchio e si  perde il concetto  primigenio di vino naturale, che nasce e rimane  soprattutto una filosofia di produzione. Il consumatore nel comprare un vino fatto con metodi “naturali” deve fidarsi di chi glielo vende, a lui deve chiedere tutte le informazioni necessarie per capire  la genesi di quel vino,  ed è chiaro che un minimo deve egli stesso applicarsi, studiare per avere parametri obiettivi di giudizio. Poi ci sono produttori, come la Cantina Marilina di Noto, che aiutano il consumatore realizzando etichette – al limite della legalità  secondo la normativa attuale –  che riportano informazioni veramente utili per capire come è fatto un vino naturale, ad  esempio: fermentazione spontanea  in vasche di cemento senza aggiunta di lieviti, macerazione sulle bucce per x-giorni. Oppure le bottiglie di Angiolino Maule (n.d.r. fondatore di Vinnatur e proprietario dell’azienda “La Biancara”) che riportano in etichetta l’analisi chimica del vino. Secondo me bisognerebbe dare più libertà ai produttori di scrivere in etichetta le informazioni che ritengono più importanti per descrivere i loro vini e magari fare a meno di quelle diciture banali, tipo la temperatura consigliata per servire un vino.

D: Che sviluppi prevedi per questa Manifestazione la cui notorietà e partecipazione  – di produttori e di pubblico –  è molto cresciuta negli anni?

R: Diciamo che dopo 10 anni sento l’esigenza di fare qualcosa di diverso. Credo che  nel 2018 non ci sarà un evento “Vignaioli Naturali a Roma”, a riguardo penso di prendermi un periodo di riflessione e poi ripartire con un’idea innovativa. Probabilmente nel 2018  faremo un evento  sui vini dell’Etna e pensiamo di farlo in loco, per permettere anche ai  produttori che non lo conoscono di vedere il territorio di riferimento. Nel 2009  ho fatto un evento sull’Etna con Rinaldi, Terpin e dei produttori francesi che ne rimasero affascinati: non capita spesso di vedere vigneti di 80 anni e più coltivati ad alberello. L’Etna per la viticoltura  è un posto unico al mondo, le potenzialità del Nerello Mascalese sono enormi . Mi raccontava Claudio Fenocchio che, partecipando ad un evento sull’Etna, ha confrontato il suo nebbiolo con il Nerello Mascalese  dei vini di Girolamo Russo ed alla cieca non riusciva a riconoscere il suo vino tanto erano simili per finezza ed aromi, e si trattava di vini invecchiati.

D: In dieci anni oltre alla quantità di vini naturali prodotti credo sia cambiata molto anche la loro qualità: all’inizio vino naturale era quasi un sinonimo di vino “rustico”, oggi non è più così, sei d’accordo?

R: Si, dieci anni fa poteva succedere di trovare con una certa frequenza vini prodotti con metodologie “naturali” che risultavano affetti da riduzione e/o “puzze” varie. Oggi il vino che “puzza” non c’è più, questi produttori  hanno imparato a farlo . Ci sono poi anche produttori che si affacciano adesso nel mondo del naturale e considerano la “rusticità” un elemento caratteristico della “naturalità” del vino: ne conosco uno molto giovane che opera vicino Pavona (nel Lazio, zona Castelli Romani),  che adotta tecniche di concimazione molto naturali – letame  delle proprie galline unito a quello di capra –  e produce una Malvasia Puntinata molto rustica, che fa una macerazione di una settimana e che un minimo rifermenta anche in bottiglia; è un vino  con una grande persistenza e con un timbro di rusticità  quasi “fastidiosa” . Bisogna però essere anche clementi e pazienti con i giovani produttori che intraprendono questa strada, dar loro fiducia, incoraggiarli ed accettare questa “diversità” nei loro vini; all’inizio anche quelli che oggi sono tra i più bravi ed esperti produttori di vino naturale (es. Maule) producevano vini molto diversi da quelli che fanno adesso.

 

Abbiamo intervistato alcuni dei produttori presenti a Vignaioli naturali: mettiamo a confronto una  azienda che quest’anno per la prima volta partecipa a questa manifestazione con una già presente nelle edizioni precedenti.

Podere San Donatino

 


E’ un’azienda locata a San Donatino, nel territorio di Castellina in Chianti, che partecipa per la prima volta a questa manifestazione. Parliamo con Luca, che si occupa degli aspetti commerciali dell’azienda.
D: Che significa vino naturale per te e come applicate nella tua azienda questa “filosofia”?

R: Vino naturale per me significa fare un vino su cui, nel processo di vinificazione, si interviene il meno possibile. In campagna dal 2012 siamo in conversione biologica, quindi non si usano più prodotti chimici antiparassitari , non si è mai diserbato se non per fare sovesci; si fa pochissima solfitazione: il livello di solforosa nei nostri vini oscilla da 10 a 60 mg/l a seconda dell’annata, ad esempio il nostro vino Dissidente (Sangiovese in purezza) ha 10 mg/l di solfiti.
In cantina le fermentazioni sono spontanee, indotte da lieviti autoctoni, senza l’uso di lieviti selezionati che, se da una parte garantiscono di non avere problemi durante la fermentazione, dall’altra mi danno la sensazione di uniformare abbastanza il profilo aromatico dei vini . I vini rossi fanno macerazioni abbastanza lunghe: 2-3 settimane, poi vengono lasciati lungamente sulle fecce e successivamente vanno in vasche di cemento per parecchio tempo prima di essere imbottigliati o invecchiati in botti di rovere. La filtrazione è molto blanda e per alcuni vini è nulla.

D: Seguite qualche disciplinare di vino biologico/biodinamico?

R: No, in realtà questo è il primo anno che veniamo invitati a questo evento; Mathieu, che è il vigneron, è abbastanza allergico alle classificazioni e questo spirito “ ribelle” ci ha anche portato a creare una nuova linea di vini, che vogliono appunto distinguersi da un certo tipo di prodotti , più omologati e magari compresi all’interno di qualche denominazione.

Il “Dissidente” è un Sangiovese in purezza , fatto con le stesse uve utilizzate per il Chianti Classico Poggio ai Mori, ma non verrà classificato nella DOCG, verrà venduto come rosso da tavola; il nome “Dissidente” è riferito proprio al disciplinare del Chianti Classico da cui si vuole distinguere: a volte la commissione di assaggio del Chianti Classico classifica come “rivedibili” o “bocciati”(ossia non concede la DOCG) i vini che deviano un po’ dallo standard – se vuoi anche abbastanza commerciale – definito dai commissari , anche se poi parlandone con produttori e clienti risulta che questo tipo di vini vengono percepiti come più autentici e tradizionali dal punto di vista del territorio. Non siamo noi a scoprire questa cosa, ci sono illustri vini “dissidenti”, sia nel Chianti che altrove, che ci hanno preceduto su questa strada. Comunque non è che facciamo una battaglia contro la DOCG, il marchio ti consente di avere degli atout rispetto al mercato: è un marchio riconoscibile commercialmente e una garanzia per il consumatore. Vogliamo però capire se una linea parallela di produzione del nostro Sangiovese, non classificata, può soddisfare i gusti di un certo tipo di consumatori.

D: Quali sono le caratteristiche di questo Sangiovese “Dissidente” che non si sposano con i criteri del disciplinare del Chianti Classico?

R: Beh questo dimmelo tu, è comunque una questione legata ai parametri gustativi della commissione di assaggio.

 

Procediamo quindi all’assaggio del “Dissidente” e degli altri vini di San Donatino.
I vini:

Dissidente 2015: Al naso emergono subito profumi floreali intensi e molto speziati ma anche erbe officinali. In bocca il vino manifesta la sua “diversità” rispetto a un Chianti Classico: l’ingresso è caratterizzato da una grande acidità, un tannino vibrante , non “vellutato” ma comunque fine che si affianca alla freschezza; chiude con toni fruttati (lampone). In sintesi un vino con un timbro un po’ rustico, non ci sono toni dolci e/o arrotondati, si capisce che non è un vino “costruito”, fatto per piacere; evidenzia una buona bevibilità e gradevolezza.

Mr Brett 2013: un altro vino “ di protesta” dell’azienda San Donatino; Il nome deriva dal lievito responsabile della produzione dell’odore, il brettanomyces. E’ un Cabernet Sauvignon in purezza, ed effettivamente al naso presenta subito uno strano odore associabile secondo la letteratura a “sudore di cavallo”o, per usare paragoni più facili da verificare, all’odore dei mobili d’epoca appena restaurati o di un tubo di palle da tennis appena stappato. C’è però anche una nota balsamica. In bocca nella retro gustativa ritorna l’aroma “brett” ed emerge una vena vegetale che disegna alla fine un vino piuttosto verticale, molto rustico.

 

 

Chianti Classico Riserva Poggio ai Mori 2011 : al naso profumi delicati di frutti rossi; in bocca mostra subito spessore, struttura. L’acidità è prevalente, ma c’è anche sapidità; in chiusura aromi di piccoli frutti rossi (lamponi) e un tannino un po’ asciugante. Un vino corretto, con grande pulizia di sentori e sapori.

 

 

Cabernet Sauvignon Eretico 2015: al naso emerge subito un sentore ematico , viscerale, quasi da “merde de poule” come si direbbe per un Pinot Nero d’oltralpe; profumi anche di spezie nere e balsamicità. In bocca ritornano i toni balsamici, il vino mostra una nota tannica e un po’ vegetale tipica del Cabernet; il sorso è scorrevole e finisce con un tono piacevolmente amarognolo.

 

 

Cabernet Sauvignon Fumino 2012: inizia con un tono ematico che poi vira verso la cera d’api, evidenzia anche balsamicità e profumi di frutti rossi. In bocca mostra freschezza e scorrevolezza, molta acidità e sapidità. Un vino un po’ verticale ma piacevole da bere.

 

 

 

Castel Noarna


é un’azienda biologica certificata che produce con metodi naturali vini tipici del Trentino: Nosiola, Chardonnay, Sauvignon, Lagrein. E’ un produttore già presente in altre edizioni di Vignaioli Naturali.

D: Che tipo di metodologie “naturali” adottate per produrre questi vini?

R: La campagna è gestita con la coltivazione biologica e biodinamica, in cantina non usiamo lieviti selezionati non usiamo solforosa in fermentazione , i vini non sono filtrati.

D: Seguite i dettami di qualche “disciplinare” sui vini biodinamici?

R: Nessun disciplinare, seguiamo delle pratiche agronomiche per favorire un equilibrio tra il terreno e l’ambiente circostante. Abbiamo iniziato questo percorso dieci anni fa e siamo comunque un’azienda certificata biologica con ICEA dal 2007; seguiamo dei principi per la coltivazione dell’uva e la sua trasformazione descritti in una “carta di intenti” che condividiamo con molti produttori, tesa a valorizzare il nostro lavoro nel rispetto della natura. I nostri vini in genere hanno un livello di solforosa inferiore a 50 mg/l ma non è un dogma, se c’è bisogno di arrivare a 55mg/l lo facciamo; utilizziamo le stesse tecniche sia in annate buone dal punto di vista climatico che “cattive”, vogliamo che i nostri vini riflettano le caratteristiche naturali dell’annata. Bisogna anche dire che però ci sono zone più vocate per la coltivazione biologica e/o biodinamica ed altre meno.

I vini:

 

Nosiola 2016: profumi di fiori bianchi, fruttato; in bocca mostra buona freschezza e acidità con finale dolce , un po’ slegato; da riassaggiare dopo un opportuno affinamento in bottiglia.

 

 

Sauvignon 2015: molto interessante, bella intensità di profumi , sopra a tutti si sente il bosso,poi una vena vegetale; in bocca mostra acidità e salinità da un lato, e ricordi di frutta bianca/gialla matura dall’altro; grande pulizia di sapori insieme a una buona bevibilità.

 

 

Lagrein Cimber 2013: profumi di spezie , balsamico, ha decisamente il timbro un po’ “freddo” di un vino nordico: molto sapido e acido, con una salinità che fa venire “ l’acquolina” in bocca e una bella vena vegetale; in chiusura emerge un tannino fine.

 

 

Teroldego 2013: profumi completamente diversi dal Lagrein, viscerali, di brodo, formaggio ma anche balsamicità da erbe aromatiche; in bocca conserva acidità e salinità ma anche un fondo dolce da piccoli frutti rossi ( ricorda le caramelle “Rossana”) , finale asciutto e un po’ verticale.

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Sono un appassionato del mondo del vino, mi piacciono i profumi e i sapori che ogni bottiglia di vino racchiude, le sensazioni e le emozioni che trasmette. Mi piacciono molto anche i distillati, in particolare la grande varietà e specificità del mondo del whisky. Laureato in Fisica, con un passato di marketing manager nel settore Servizi e Innovazione di una società leader di telecomunicazioni, oggi critico enogastronomico per passione. Scrivo di Vino, Distillati ed Olio sulla testata giornalistica Vinodabere (www.vinodabere.it). Collaboro anche con le testate di settore “Luciano Pignataro (www.lucianopignataro.it)”, "Wining (www.wining.it)" ed “Epulae (www.epulaenews.it)”. Giudice per il concorso internazionale Grenaches du Monde. Assaggiatore per la “Guida Flos Olei“ di Marco Oreggia. Ho collaborato per l’edizione 2018 con la guida "I vini d'Italia" de l'Espresso. Sommelier AIS dal 2001, Sommelier AISO dell’Olio e degustatore iscritto all'albo per la Regione Lazio.

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