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Il diritto di tappo, BYOB, il bottle sharing e la doggy bag sono pratiche di civiltà oppure no?

Il diritto di tappo è quella somma chiesta dal ristoratore (qualora questa fattispecie sia prevista dal ristorante) per il servizio, la stappatura ed il lavaggio successivo dei bicchieri a fronte di una bottiglia acquistata altrove dal cliente e portata per essere consumata durante la cena o il pranzo.

Questa pratica, ancora poco diffusa in Italia, nasce presumibilmente negli anni ’50 in California  con l’acronimo BYOB (Bring Your Own Bottle= Porta la tua bottiglia) al quale si lega il  “corkage fee” (il vero e proprio diritto di tappo), con l’obiettivo di consentire al cliente di portarsi dietro etichette di particolare pregio non presenti nella carta dei vini.

Ovviamente non è facile per il ristoratore fissare l’importo da pagare, che deve tener conto oltre che del servizio, anche della mancata vendita di vino. Negli USA si aggira mediamente tra i 15 ed i 25 dollari, mentre in Italia non è possibile dare un’indicazione, perchè il fenomeno è veramente raro.

Ora la domanda che potrebbe sorgere spontanea è questa:                                                                                                       prevedere il diritto di tappo è una pratica di civiltà oppure no?

Noi sinceramente non pensiamo che la questione si debba porre in questo modo, perchè grava sul ristoratore la spesa di immobilizzo dei vini acquistati. D’altro canto prevedere il diritto di tappo potrebbe veicolare nel locale clienti che forse non sarebbero mai venuti.

Pensiamo quindi che ogni ristorante debba fare la giusta scelta, in funzione delle sue esigenze e dei suoi obiettivi.

Qualcuno suggerisce, come pratica di cortesia, di scegliere almeno un vino dalla carta, ma questa è un’ipotesi che riteniamo corretta solo qualora non sia previsto il pagamento del diritto di tappo, oppure quando sia espressamente previsto dal ristoratore (cioè il ristoratore può prevedere che per portare la bottiglia da casa, oltre al pagamento del diritto di tappo, si acquisti anche un vino dalla carta).

Troviamo invece un’idea geniale, anche questa ahimè diffusa pochissimo in Italia, quella del bottle sharing, ossia dare la possibilità di condividere la bottiglia tra clienti di tavoli diversi.  Ovviamente qui il ruolo del responsabile di sala diventa essenziale per mettere insieme le richieste diverse dei clienti che non siedono allo stesso tavolo.

Pensiamo inoltre che debba essere del tutto normale portare a casa la bottiglia non terminata. Cosa c’è da vergorgnarsi? Così come, a nostro avviso, si dovrebbe fare per l’acqua, che forse altrimenti finirebbe addirittura nel lavandino.

Altra pratica che riteniamo non solo lecita ma anche molto civile è quella della doggy bag, cioè quella di poter portare via i piatti non terminati. Quante volte vi sarà capitato di aver ordinato diverse portate e di sentirsi sazi prima dell’ultima in arrivo?

Al di là di come la si pensi, sarebbe utile in ogni caso avere a disposizione l’elenco dei ristoranti dove sono previsti diritto di tappo e/o bottle sharing e/o doggy bag, in modo che il cliente tracci, attraverso le sue scelte, la strada da seguire.

 

 

 

 

 

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Giornalista enogastronomico, una laurea cum laude in Economia e Commercio all'Università La Sapienza di Roma, giudice del Concorso Mondiale di Bruxelles e membro del Comitato Editoriale del Concorso Mondiale del Sauvignon, docente F.I.S.A.R.. Ha una storia che comprende collaborazioni con Guide di settore. Per citare solo le ultime : Slow Wine (Responsabile per la Sardegna edizioni 2015 e 2016), I Vini de L'Espresso (vice-curatore e coordinatore nazionale edizioni 2017 e 2018), I Ristoranti d'Italia de L'Espresso (edizioni dalla 2010 alla 2018). Collabora con le testate: www.lucianopignataro.it , www.repubblica.it/sapori. Ha scritto alcuni articoli sul quotidiano "Il Mattino" e su www.slowine.it. Ha una passione sfrenata per quel piccolo continente che prende il nome di "Sardegna", per le sue terre e per la sua gente.

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